Sono solo una minoranza (o no?)

Si può comprendere come la maggior parte degli inglesi non si riconosca negli yob e voglia prenderne le distanze, ma quello che non ha attenuanti è il negare che ciascun yob sia espressione di una cultura che lo ha cresciuto, nutrito, nascosto e scusato; una cultura presente, reale e che appartiene alla società inglese nella sua interezza.

Per molte persone della mia generazione, l’immagine del calcio inglese è per sempre legata ai 39 morti della tragedia di Heysel; e anche alle città italiane blindate durante i mondiali del ’90, quando dopo essere stati banditi per cinque anni, i tifosi inglesi venivano riammessi negli stadi europei.

Heysel – 1985

Ricordo le regole di emergenza: proibizione di vendita di alcolici e bar transennati nelle città in cui giocava l’Inghilterra. A Roma si cantava e ballava con gli irlandesi, mentre l’arrivo della tifoseria inglese era temuta come l’approdo di orde di barbari.

Ne seguirono incidenti a Cagliari dove centinaia di tifosi furono arrestati e deportarti dopo avere distrutto negozi, lanciato sedie e appiccato incendi.

Sono solo una minoranza

È una frase che gli inglesi ripetono come un mantra, come quella di un alcolizzato che continua a ripeterti che in fondo è solo un bicchiere.

Indubbiamente, l’inglese medio non ha l’abitudine d’infilarsi fuochi d’artificio nel retto, danzare nudo davanti allo stadio, pisciare e vomitare nelle pubbliche piazze, bruciare bandiere, assaltare stadi e twittare insulti razzisti.

Per fortuna.

Ma il fatto che siano solo una minoranza non è un’attenuante.

Esistono.

Allo stesso modo in cui il fatto che la maggior parte degli uomini italiani non siano sessisti non rende la misoginia un problema meno esistente in Italia, o che la minoranza che insulta le donne in rete e in strada, commette violenza tra le mura e uccide sia qualcosa da poter archiviare sulla base delle statistiche e pretendere che il problema non abbia profonde radici culturali.

Si può comprendere come la maggior parte degli inglesi non si riconosca negli yob e voglia prenderne le distanze, ma quello che non ha attenuanti è il negare che ciascun yob sia espressione di una cultura che lo ha cresciuto, nutrito, nascosto e scusato; una cultura presente, reale e che appartiene alla società inglese nella sua interezza.

Getting pissed

Nella maggior parte delle culture, l’ubriacarsi ha connotazioni negative. La perdita di controllo è socialmente condannata e dunque l’ubriacatura è vista come degradante e umiliante. Lo stato di ebrezza è accettabile solo in misura contenuta e in concomitanza di eventi celebrativi.

In Inghilterra è il contrario.

Non solo l’ubriacatura è socialmente accettabile, ma non ha alcuna connotazione negativa, anzi è motivo di vanto, esultanza, proclamazione. Bere è un mezzo verso un fine: perdere il controllo, perché questa è la cosa migliore che ti possa succedere.

Esci con gli amici? “I am gonna get so pissed tonight!” (mi ubriacherò così tanto stasera). Racconti di un evento passato? “We were so drunk we could barely stand!” (Eravamo così ubriachi che a fatica ci reggevamo in piedi).

L’esistenza di un evento a venire induce alla pianificazione: “the day of the final we are gonna be so pissed!” (Il giorno della finale saremo così ubriachi).

Se poche migliaia di hooligans non definiscono una nazione, la cultura dell’esaltazione del bere lo fa. Nel corso dei giorni antecedenti alla finale, gli inglesi che hanno pianificato, dichiarato, postato o twittato di avere intenzione di ubriacarsi per la partita non erano poche migliaia, erano milioni. Nella percezione collettiva non c’è nulla di male ad ubriacarsi, anzi in concomitanza di eventi importanti è qualcosa di cui si va fieri.

Non esisterebbero poche migliaia di hooligans ubriachi se dietro non avessero milioni di persone che vivono la cultura del bere come non solo come socialmente accettabile ma come necessaria. Ovvero: non puoi divertirti a meno che non sei ubriaco.

Confondere il patriottismo con il nazionalismo

Si può amare una patria anche senza una nazione perché la patria è la terra, è la lingua, è la cultura; e sono le tue tradizioni, le radici. Patria è un sentimento che ti sprona a dare senza aspettarti niente in cambio, ad amare il tuo prossimo senza odiare il tuo vicino.

La nazione d’altra parte è un marchio con il quale ci si identifica. Nazionalismo è la convinzione che solo per il fatto di appartenere ad un gruppo di persone, tutto ti sia dovuto; è il credo che ti fa diffidare del tuo prossimo e deumanizzare il tuo vicino.

Gli inglesi non hanno un reale concetto di patria ma ne hanno uno forte di nazione, incarnato nella monarchia. Hanno il retaggio di un impero che nei secoli ha sedimentato nel cittadino medio l’idea di essere migliori, meglio educati, più ricchi, più civili e più emancipati di altri e che gli altri devono rendersene conto, e se non lo fanno sono dei nemici da combattere.

Non si sarebbe mai arrivati a Brexit se questo aspetto non fosse radicato. Nessuno avrebbe mai potuto convincere una maggioranza a votare per uscire dalla EU se l’idea di un’Inghilterra ‘superiore’ non fosse stata parte di un retaggio culturale.

It’s coming home

Noi italiani siamo piuttosto scaramantici. Ci avviciniamo ai campionati sempre con cautela e festeggiamenti si fanno sempre dopo le partite, mai prima.

Al contrario, l’Inghilterra, solo per il fatto di essersi qualificata ad una competizione, è certa che la vincerà, e se poi passa il girone eliminatorio, ha già praticamente la coppa in mano. Il resto è un crescendo incessante che per quasi sessant’anni ha fatto i conti con la realtà e dato origine ad un livello di frustrazione collettiva esplosivo.

Non esisterebbero poche migliaia di hooligans euforici e esaltati (prima) e frustrati e violenti (dopo) se l’esaltazione della vittoria vissuta come affermazione della superiorità culturale e sportiva non fosse stata brandita da Boris Johnson, impugnando, come fece Berlusconi, la migliore arma del populismo, il calcio. Facendosi ritrarre al centro di una bandiera, creava nel pubblico un’associazione tra la sua persona, la bandiera, la nazione e la vittoria; promettendo una festa nazionale in caso di vittoria poteva assicurarsi gratitudine ed elettori.

Johnson prima della partita contro l’Ukraina – 2021

Chi dice che questi europei non avevano niente a che vedere con Brexit s’illude. Questi campionati erano un campo di battaglia politico. Era visibile agli occhi di tutti, solo gli inglesi sembravano non accorgersene, e così nutrivano giorno dopo giorno quell’esaltazione e lo stunt politico del primo ministro. Intanto l’Europa, proprio per questo tifava Italia: “Unità” contro “divisione”.

È stata proprio la vittoria dell’Italia ha mettere in luce gli effetti devastanti della politica conservatrice: nell’inaccettazione della sconfitta, nello spregio verso gli opponenti e il bullismo nei confronti dei giocatori di colore.

Taking the knee

Quando più alte autorità politiche, Boris Johnson e Priti Patel attaccano dei calciatori di colore per essersi inginocchiati in opposizione al razzismo e appoggiano esplicitamente chi li insulta allo stadio, non c’è da stupirsi se una minoranza pensa che allora sia lecito essere pubblicamente razzisti sui social media.

Quei politici che all’indomani della partita hanno suggerito a Rashford che farebbe meglio a concentrarsi sul calcio piuttosto che la politica, sono stati eletti dalla maggioranza.

Con la sua campagna contro l’abolizione dei pasti scolastici gratuiti ai bambini delle scuole elementari, Rashford era stato duramente attaccato dai Tories, costretti a far ritirare la legge.

Oggi, come alcuni mesi fa, Johnson ha effettuato l’ennesima marcia indietro e nuovo stunt politico. Come sua abitudine ha negato pubblicamente affermazioni precedentemente espresse (poco importa che ci siamo decine di registrazioni) e condannato il razzismo, annunciando la persecuzione dei responsabili e il loro allontanamento dai social e gli stadi, come se da sempre fosse stato un paladino di tolleranza e pari opportunità.

La vera minoranza

Conosco moltissimi inglesi che non si riconoscono nell cultura che ha portato a Brexit, al nazionalismo, allo sciovinismo e che si battono con le unghie e con i denti contro un governo populista che per anni ha fomentato odio e divisione nella società, fino agli avvenimenti del dopo finale del campionato europeo. Il problema è che sono loro la minoranza sotto attacco. Sono loro che vengono additati come nemici. E sono loro l’espressione del lato migliore della cultura inglese, quella multiculturale, aperta e ospitale che in questi anni è stata criticata, giudicata, emarginata e derisa.

Ogni cultura ha le sue sfaccettature, i suoi lati luminosi e quelli oscuri e la cultura inglese non è diversa. Ciò a cui si è assistito però, è stato l’annientamento della cultura della tolleranza e della solidarietà che fa tanto parte del bagaglio culturale quanto il suo opposto.

Come burattinai, politici e media tirano i fili, così mentre il multiculturalismo è stato ridotto al silenzio e alla paralisi, gli yob che assediavano e invadevano Wembley, distruggevano piazze, prendevano a calci italiani che passavano, bruciavano bandiere e insultavano giocatori sui social media sono il frutto di dieci anni di una propaganda che ha fatto leva sugli aspetti più cupi, intolleranti e retrogradi della cultura del Paese.