Prima sessione d’inchiesta sugli eventi del 6 gennaio 2021, tenuta il 09.06.2022 (parte seconda)
L’assalto a Capitol Hill fu spontaneo o pianificato?
Nel corso della seconda parte della prima sessione, il presidente della commissione, il deputato democratico Bennie G. Thompson, mostra come si è arrivati a concludere che l’assalto fu pianificato e di come il piano fosse stato attuato dai gruppi di estrema destra Proud Boys e Oath Keepers dietro invito di Donald Trump.
“Stand back and stand by”
Prima delle elezioni, nel corso del dibattito televisivo con Biden, a una domanda in riferimento ai Proud Boys, Trump si rivolse direttamente a loro. Disse: “Stand back and stand by” (state indietro ma tenetevi pronti).
Poco dopo, Enrique Tarrio, il leader dei Proud Boys, twittò: “Standing by, Sir” (ci teniamo pronti, signore).

Il Ministero di Autodifesa
Da quel momento, le iscrizioni ai Proud Boys triplicarono e il gruppo cominciò a identificarsi come un esercito pronto all’intervento non appena fosse arrivato l’ordine.
In quel contesto, il tweet di Trump, nelle prime ore del 19 dicembre (dopo l’incontro segreto con i suoi consiglieri: Rudy Giuliani, Michael Flynn e Sydney Powell, avvenuto la notte del 18 dicembre alla Casa Bianca), fu interpretato come una “chiamata alle armi”.

I Proud Boys crearono una chat chiamata “The Ministry of Self Defense” (MOSD) e instaurarono una catena di comando in preparazione del 6 gennaio.

1776 Returns
Il 30 dicembre, fu inviato a Tarrio un documento di 9 pagine dal titolo “1776 Returns” (Il ritorno del 1776) che indicava di reclutare almeno 50 persone invaricate di occupare e prendere sotto controllo ciascuno dei sette edifici governativi, consigliando ai manifestanti di apparire “ignari” e di “non sembrare tattici”.
Il documento forniva anche suggerimenti per i giorni che precedevano il 6 gennaio, consigliando ai manifestanti di “esplorare” le chiusure stradali vicino ai sette edifici presi di mira. La mattina della protesta, suggeriva di avere degli “scout” in giro per gli edifici alla ricerca di “blocchi stradali”.
All’interno vi era anche una sezione, nota come “Patriot Plan”, creata per la distribuzione pubblica. Questa parte del documento dimostra che la folla che si radunò intorno ai sette edifici alle 13:00 era al corrente delle procedure. Sapevano di dover attendere il “segnale dal leader” e poi “prendere d’assalto” gli edifici.

In risposta al tweet di Trump del 19 dicembre, uno dei leader degli Oath Keepers twittò: “Crediamo che questo sia il piano: (Trump) vuole che scateniamo il putiferio. Trump ha detto: sarà selvaggio!!! Sarà selvaggio!!! Vuole che rendiamo l’evento SELVAGGIO. Dice questo. Ci ha chiamati al Campidoglio per rendere l’evento selvaggio!!!”

Anche gli Oath Keepers cominciarono ad armarsi per assicurarsi che Trump restasse al potere a ogni costo. Il leader, Steward Rhodes aveva già in precedenza inviato un messaggio ai membri del gruppo che diceva: “Non ne usciremo se non con una guerra civile”.

In preparazione, organizzarono milizie armate in Virginia, con l’intento di tenerle pronte a intervenire il 6 gennaio.

Il 5 gennaio, il giorno prima dell’insurrezione, Tarrio, Rhodes e altri membri dei due gruppi s’incontrarono in un garage a Washington.

Il giorno dell’insurrezione, gli Oath Keepers, entrarono a Capitol Hill dalle porte a est, divisi in gruppi separati. L’obiettivo del primo gruppo era Nancy Pelosi, ma non fu trovata.
Ciascuno dei gruppi sia degli Oath Keepers che dei Proud Boys aveva obiettivi precisi all’interno dell’edificio.
Dopo l’attacco, in una chat criptata, Enrique Tarrio inviò il seguente messaggio: “Nessun errore… Siamo stati noi.”

L’assalto a Capitol Hill
Furono i Proud Boys a istigare la folla ad abbattere le barriere al 12:52.

Di lì a dieci minuti la folla aveva già cominciato a riempire l’area ovest. Alle 14:00 aveva raggiunto sia le porte dell’ala di sinistra che quelle dell’ala destra e alle 14:13 aveva distrutto le finestre dell’ala di sinistra, dove si trovava il senato. A quel punto, la massa umana si riversò all’interno dell’edificio.

Gli insurrezionalisti penetrarono anche da altri punti: alle 14:25 irruppero dal lato est (il lato opposto dell’edificio) e alle 14:40 sfondarono l’ingresso dell’ala di sinistra.

Una volta all’interno, gli insurrezionalisti, si mossero in direzione della cripta, della rotonda e della camera del congresso e quella del senato.
Testimonianza di Nick Quested
Dalla testimonianza di Nick Quested, un filmmaker che stava lavorando a un documentario sulle divisioni della società americana e che filmava i Proud Boys, emerge che la mattina del 6 gennaio, circa 250 Proud Boys non andarono al comizio di Trump ma cominciarono a marciare verso Capitol Hill alle 10:30 del mattino.
Nick Quested dichiara che durante il percorso non c’erano forze di polizia presenti e che una volta raggiunta la rotonda antistante il Campidoglio, vide solo un poliziotto che controllava le barriere. Sull’altro lato invece c’erano circa 12 poliziotti che si stavano preparando.
L’atmosfera è descritta da Quested come molto pesante. Alcuni Proud Boys dell’Arizona indossavano berretti e fasce al braccio arancioni.
Il presidente della commissione, Bennie G. Thompson, afferma che grazie alla testimonianza di Quested e di altri, la commissione ha potuto appurare che tra i 200 e i 300 Proud Boys non avevano assistito al discorso di Trump, piuttosto avevano fatto un giro di ricognizione intorno a Capitol Hill per verificare l’entità delle forze di polizia presenti, decidendo da dove far partire l’attacco. Questo gli dette la possibilità, più tardi, quando la folla raggiunse Capitol Hill d’indirizzarla verso le barriere che sapevano più sguarnite.
L’attacco a Capitol Hill era stato dunque coordinato ed era il frutto di un mese di pianificazione cominciato a partire dal tweet di Trump del 19 dicembre.
Testimonianza di Caroline Edwards
A conferma, si aggiunge la testimonianza di Caroline Edwards, un agente di polizia che si trovava alle barriere che per prime furono abbattute.
La Edwards sostiene che all’arrivo della folla gli agenti presenti erano 6 in tutto. Notò subito alcuni elementi in tenuta militare con giubbetti antiproiettile. Si muovevano in gruppo, guidati da Joseph Biggs, uno dei leader dei Proud Boys, che li coordinava con un megafono.
Poco dopo, dalla folla, emerse il gruppo dell’Arizona con i berretti e le fasce arancioni e si unirono al gruppo in tenuta militare. A quel punto, Joseph Biggs si rivolse alle forze di polizia cercando di convincerle ad aderire alla rivolta e aprire le barriere.
Edwards disse al suo superiore che riteneva fossero necessari dei rinforzi.
Intanto, dopo che a Biggs fu chiaro che la polizia non li avrebbe lasciati passare, dette ordine ai suoi di abbattere le barriere. Edwards tentò di fermarli sperando di poter resistere fino all’arrivo di rinforzi, ma la folla la spinse all’indietro, cadde sui gradini e perse conoscenza.
Quando Edwards riprese conoscenza, corse verso i gradini dell’ala del senato per cercare di fermare la marea che si era riversata in quella direzione e faceva pressione.
Con l’arrivo di rinforzi si formò un cordone. Per circa 45 minuti la linea riuscì a bloccare i manifestanti, fino a che, voltandosi, Edwards notò l’agente Sicknick (che sarebbe più tardi deceduto) pallido, in stato confusionale, con la testa tra le mani. Stava per soccorrerlo quando le fu spruzzato spray al peperoncino in volto. Subito dopo, alcuni elementi tra la folla cominciarono a lanciare gas lacrimogeni. Il cordone cedette e la folla avanzò.
Conclusione
Gli attacchi erano stati coordinati e in ciascuna sezione dell’edificio vi erano elementi (attrezzati), incaricati di assicurare che la folla penetrasse all’interno.
Numerosi membri dei Proud Boys e degli Oath Keepers sono stati incriminati per il reato di sedizione. Molti si sono dichiarati colpevoli e hanno confermato di avere risposto alla “chiamata” di Trump.
Per la prima parte della prima sessione, cliccate qui.
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