Parafrasando la celebre frase della Thatcher “la società non esiste”, il giornalista britannico Russ Jones spiega perché “il partito conservatore non esiste” mettendo il dito sulla piaga dei limiti del sistema elettorale maggioritario, responsabile di convivenze impossibili e un bipartitismo fittizio e non funzionale.
Jones ci spiega che i Tories sono in realtà 5 fazioni distinte, così lontane tra loro che in Paesi con il sistema proporzionale non formerebbero una coalizione: sarebbero partiti independenti e poco conciliabili.
Quali sono:
- Il “One Nation” è il gruppo tradizionale, il centro destra. Un tempo era la fazione principale ma dopo Brexit è stato emarginato. Ormai non è che una minoranza. Il ministro degli esteri Ben Wallace ne è l’unico esponente di spicco.
- All’estrema destra troviamo gli xenofobi nazionalisti, ossessionati con immigrazione e sovranismo. Politicamente insignificanti fino a Brexit, a partire dal 2016 sono diventati sempre più numerosi e rilevanti, tanto da guadagnare il ministero degli interni prima con Priti Patel e poi con Suella Braveman.
- Sempre all’estrema destra c’è la fazione di Liz Truss, quella dei fanatici ultra-liberisti, che credono nell’individuo sovrano e nella follia dell’”economia dello sgocciolo”. Oltre alla Truss, troviamo Dominic Raab e Kwasi Kwarteng.
- A metà strada tra gli xenofobi e gli ultra-liberisti ci sono i populisti. Sono quelli che dicono e fanno di tutto per rimanere al potere ma non hanno piani o ideali. Boris Johnson e Nadine Dorries.
- C’è poi il gruppo dei politici che cercano di tenere insieme il partito guidati dalla convinzione che solo loro meritano di governare. Michael Gove e Theresa May.
Ai cinque elencati da Jones, aggiungerei anche un sesto gruppo, antitetico a quello dei conciliatori.
- È la fazione dei Rishi Sunak, Jeremy Hunt, Penny Mordaunt e Grant Shapps, quella dei destabilizzatori che godono nel seminare zizzania tra populisti, xenofobi e ultraliberisti allo scopo di salire al potere.
La Thatcher li aveva tenuti insieme grazie alla forza della propria personalità e il consenso popolare. Quando il consenso venne a mancare, il partito si sfaldò sotto Major. Cameron, esponente del primo gruppo, era odiato dai 3 gruppi estremisti. Theresa May fu fatta fuori da dagli stessi; Johnson, dopo aver convinto ciascuno di essere uno di loro, è stato fatto fuori da tutti quelli che aveva preso in giro.
Per comprendere l’attuale ingovernabilità del Regno Unito dovremmo pensare a una situazione in cui, in Italia, FdI, Lega, FI, Terzo Polo, M5S e Italexit fossero un unico partito. Lo psicodramma sarebbe un ottimo soggetto per una serie Netflix.
Il nostro maldestro tentativo di conciliare maggioritario e proporzionale del Rosatellum ci ha fatto intravedere le pecche del maggioritario, un sistema che crea la falsa impressione di maggiore governabilità. Falsa perché non esclude sfaldature interne, ma anzi incentiva coesistenze fittizie e accordi pre-elettorali esistenti al solo scopo di guadagnare seggi. Non solo si finisce per avere una maggioranza di governo che non rispecchia la volontà della maggior parte dell’elettorato, ma non impedisce neanche colpi di mano interni e cambi di leadearship. In UK, pur con una maggioranza di 80 seggi, i conservatori sono al terzo leader in 3 anni e le possibilità che questo nuovo appntamento duri più di quello della Truss sono scarse.
Paradossalmente sono stati proprio i sistemi maggioritari, come quelli americani e britannici (in passato ritenuti più stabili ed equilibrati), ad aver sofferto maggiormente l’ascesa di populismo e sovranismo, finendo per dar vita a governi instabili ed estremi.
Vediamo perché:
Il maggioritario si basa sul bipartitismo e dà vita a maggioranze in grado di apportare modifiche sostanziali alle politiche di un Paese. Se in passato erano i sistemi proporzionali ad apparire inefficienti, penalizzando la dinamicità di un Paese (costretti ad alleanze e a compromessi), oggi la scarsa efficienza pare il minore dei mali rispetto all’ascesa dall’estremismo. Non per niente, in Italia il proporzionale aveva proprio scopo protettivo. Dare un eccessivo potere ad un unica fazione infatti funziona solo fin tanto che le due fazioni propongano sì politiche diverse ma abbiano dei principi comuni.
Negli USA e in GB, nel dopoguerra, l’estremismo era pressoché sconosciuto e il bipolarismo, per decenni, è consitito in un duello tra forze politiche per lo più centriste. Vi erano politiche diverse ma una condivisione di valori di base. Funzionava. Il fatto che talvolta un partito potesse ottenere una larga maggioranza anche senza il voto popolare (e di fatto avere un enorme potere legislativo pur rappresentando una minoranza dell’elettorato), non era percepito come un problema perché nessuna forza politica promuoveva riforme radicali o peggio ancora mirava a intaccare le istituzioni al fine d’impedire all’altra fazione di tornare al potere.
Le prime crepe del bipartitismo compaiono con Reagan e la Thatcher e la loro spinta al neo-liberismo. Con loro, le riforme cominciarono a essere radicali e a trasformare la società. Con la fine della guerra fredda, per motivi esistenziali, democratici e laburisti furono costretti a spingersi a destra, creando di fatto un vuoto a sinistra e l’impressione di un’omologazione, dove le fazioni parevano indistinguibili. Il sistema bipolare era già rotto: non esistevano più una destra e una sinistra moderate ma due facce della stessa medaglia distinte solo da sfumature. Oltre alla base di valori comuni condividevano anche gran parte dei programmi. Era la morte della politica.
È stato in quel vuoto ideologico che il populismo si è lanciato come una testa d’ariete contro il sistema. Una forza anti-establishment mirata a scardinare l’empasse dell’omologazione servendosi di argomenti che la gente sentiva emotivamente vicini. La gente non si sentiva sicura? Si puntava il dito contro l’immigrazione. La gente non riusciva a tirare avanti? Si dava la colpa alla “globalizzazione” e si attaccavano organizzazioni quali la UE, l’ONU, l’OMS, la Corte Europea dei Diritti Umani. Nel connubio populismo-sovranismo, le destre sono divenate sempre più estreme e radicali: sovraniste, ultraliberiste, antiabortiste. Il trumpismo e Brexit sono state le massime espressioni di questo processo di sfaldamento.
Venuta a mancare la base di valori condivisi, il bipartitismo è diventato pericoloso.
Con l’estremizzazione dei repubblicani e dei conservatori, un sistema nato originariamente per agevolare la funzionalità dei governi si è trasformato in un’arma per operare modifiche istituzionali anti democratiche, mirate ad impedire all’opposizione di tornare al potere. Sia negli USA che in UK si sono ridisegnate le mappe dei collegi elettorali (gerrymandering) per assicurare la maggioranza del proprio partito; Trump ha piazzato i “suoi” giudici alla Corte Suprema (un organismo non elettivo con un potere enorme); Johnson ha riempito la Camera dei Lord di suoi accoliti.
E cosa fare poi se il leader, alla fine del mandato, abusa del potere al punto da rifiutarsi di andarsene? Negli USA siamo arrivati all’assalto a Capitol Hill; in UK c’è voluta la ribellione di centinaia di deputati per far dimettere Johnson, il quale rifiutava pur avendo commesso dei reati (e anzi abusava della propria posizione per smantellare i comitati d’inchiesta). Quanto a Liz Truss, l’abuso di potere è arrivato all’estremo dell’attacco fisico dei deputati che non volevano votare a suo favore.
Per quanto fino ad oggi le istituzioni americane e quelle britanniche abbiano retto all’assalto del populismo, ne sono uscite malconce, erose e fragili. La fine della democrazia non è più apparsa come una distopia ma come una possibilità tangibile, un dramma appena evitato e un pericolo ancora presente. Nello scenario politico attuale, in cui esiste una forte spinta anti-sistema, troppo potere nelle mani di un solo partito è un pericolo per la democrazia.
Per questo, negli USA si è cominciato a rimettere in discussione il sistema dei Grandi Elettori, mentre in Gran Bretagna, il partito laburista intende inserire nel proprio manifesto elettorale l’introduzione del sistema proporzionale e porre fine al bipartitismo.
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