Cosa è successo a Twitter dopo l’acquisizione di Elon Musk?
Ripercorriamo la vicenda per fare chiarezza su come, in sole due settimane dal cambio di gestione, Twitter sia già sull’orlo della bancarotta.
L’offerta
Il 14 aprile 2022, Musk offre 43 miliardi di dollari per l’acquisto di Twitter. Undici giorni dopo, la società accetta l’offerta per 44 miliardi. Le proposte di rinnovamento di Musk comprendono: combattere la proliferazione degli account bot e promuovere la libertà di parola rimuovendo la moderazione dei contenuti. A luglio però, sostenendo che Twitter ha violato l’accordo rifiutandosi di eliminare i bot, Musk ritira l’offerta.
Vero o meno, bisogna tenere conto di un evento tenutosi a maggio: il New Fronts, il più grande mercato del digitale che riunisce migliaia di marchi e agenzie. A questo evento, Twitter effettuava solitamente vendite tra i 600 e i 900 milioni di dollari, ma quest’anno, la coalizione Stop The Deal sprona gli inserzionisti a porre domande sulla gestione di Musk prima d’investire, e poiché Twitter non ha risposte soddisfacenti, gli investimenti crollano, privando la piattaforma del pacchetto di vendite per il 2023.
Musk acquista Twitter
Twitter non accetta il ritiro dell’offerta e intenta una causa contro Musk per costringerlo a concludere l’acquisizione oppure pagare i danni. La compagnia ritiene che le vendite pubblicitarie siano crollate a causa dei cambiamenti annunciati e di essere stata pesantemente danneggiata dalla manovra. Musk non ha scelta che completare l’operazione, che si è conclusa il 27 ottobre con l’ingresso in campo della compagnia saudita KHC.
Il deficit
Il problema del deficit resta. “Twitter ha avuto un enorme calo delle entrate, a causa di gruppi di attivisti che fanno pressioni sugli inserzionisti…” Denuncia Musk in un Tweet alcuni giorni dopo l’acquisizione. Ma interviene subito Lou Paskalis, Presidente e Direttore Operativo di MMA Global: “Gli inserzionisti non vengono manipolati da gruppi di attivisti, sono obbligati da principi consolidati sui tipi di aziende con cui possono fare affari. Questi principi comprendono una valutazione dell’impegno delle piattaforme per la sicurezza e l’idoneità del marchio.” Paskalis (bloccato immediatamente da Musk) sostiene che le compagnie non vogliono essere associate con una degenerazione dei contenuti. È su questo territorio che avviene lo scontro. Se il nuovo proprietario può gestire Twitter come crede, non può però forzare gli investimenti.
La manovra
Come sostenere allora una compagnia con limitati introiti pubblicitari che – per stessa ammissione di Musk – sta perdendo 4 milioni di dollari al giorno? Al nuovo proprietario non resta che ridurre i costi e procedere a tagliare il 50% del personale e trovare entrate alternative introducendo il pagamento di $8 per il bollino blu. Fin dalle prime mosse, la manovra appare più distruttiva che risolutiva. Innanzitutto non è chiaro come gli introiti derivati dal bollino possano colmare il vuoto pubblicitario. Ma soprattutto, la decisione crea scontento tra gli utenti. Il bollino infatti era stato introdotto per tutelare figure note o istituzionali dal plagio. Vendere i bollini rescinde il principio protettivo per trasformarli in vezzo – chiunque li può acquistare e non sarebbero più garanzia d’identità. Si teme la proliferazione di fake autenticati non più riconoscibili dagli account legittimi.
Le elezioni di medio termine USA
In una serie di tweet, Musk ironizza sulle lamentele, talvolta ribattendo con arroganza chi cerca di spiegare perché la vendita dei bollini è destinata a fallire. Negli stessi giorni, a 24 ore dalle elezioni di medio termine negli USA, il magnate abbraccia apertamente il partito repubblicano, invitando i suoi oltre 100 milioni di followers a votarlo. Ma se ha acquistato Twitter con l’intenzione di farne un’arma politica, la scelta si rivela un boomerang. Le elezioni di medio termine negli USA sono un fiasco per il GOP. È il peggiore risultato di tutti i tempi per un partito di opposizione (che solitamente nelle elezioni di medio termine si aggiudica ampiamente il congresso). Non solo non avviene alcuna red wave repubblicana, ma il partito di Donald Trump ne esce malconcio, senza maggioranza al senato e una ancora in dubbio al congresso, dove molti candidati sostenuti dall’ex presidente vengono sconfitti alle urne.
La fuga di utenti
E mentre all’interno del GOP comincia la lotta intestina tra Trump e Ron DeSantis sulla leadership, Musk deve fare i conti sulla fuga degli utenti. Nel giro di tre giorni, infatti, oltre 200mila utenti aprono accounts su Mastodon, una piattaforma social decentralizzata, costruita attraverso una serie di server indipendenti e autogestiti, priva di pubblicità e sovvenzionata attraverso libere donazioni degli utenti – un social totalmente indipendente. Figure note come Stephen Fry (su Twitter dal 2008 e con oltre 12 milioni di followers) emigrano su Mastodon, seguite oltre che da decine di migliaia di utenti, anche da giornalisti, politici e influencers che su Twitter avevano milioni di followers. Un’emorragia destinata a incrementare esponenzialmente nelle settimane a venire.
I fake autenticati
Come se non bastasse, l’avventura del bollino blu a pagamento dura solo pochi giorni. Per provare che la vendita della certificazione rimuove la garanzia di autenticità spalancando le porte ai fake, il 10 novembre alcuni utenti acquistano e creano accounts cloni, indistinguibili dagli originali e regolarmente autenticati e certificati. Il caso più eclatante è quello del fake della compagnia farmaceutica Eli Lily che il 10 novembre “annuncia” la distribuzione gratuita dell’insulina.

Preso per vero, l’annuncio fa precipitare le azioni della compagnia, che è costretta a una tempestiva dichiarazione che l’insulina non è gratuita e che il loro account è stato “legalmente” clonato da un utente e altrettanto “legalmente” certificato da Twitter (che ora rischia di essere citato per danni).

Oltre al rischio di sostanziali perdite economiche, si presenta poi il problema delle inserzioni pubblicitarie. Quale compagnia vorrebbe oggi investire in pubblicità su di una piattaforma dove chiunque, pagando $8, si aggiudica il diritto di clonare degli account? Prendiamo BP, per esempio, dove il clone autenticato posta un’auto-denuncia sulla distruzione del pianeta.

O la conversazione tra i cloni autenticati di Blair e Bush sulla guerra in Iraq.

Oppure ancora il baldanzoso Gesù Cristo, anche lui autenticato semplicemente attraverso il pagamento di 8$.

Marcia indietro sui bollini
A seguito di queste brecce di sicurezza, Twitter è costretto a sospendere la vendita dei bollini fin tanto di non essere in grado di creare un sistema efficace di autenticazione.
E qui insorge un altro problema. Per coprire le spese e recuperare i 44 miliardi spesi per l’acquisto della piattaforma, con limitati introiti pubblicitari, Musk dovrebbe avere un minimo di 100 milioni di utenti in abbonamento per alcuni anni. Se la quantità di persone disponibili ad abbonarsi appare poco probabile, dato l’attuale esodo di utenti verso il gratuito Mastodon, quello che al momento appare ingestibile da un punto di vista pratico è l’implementazione di un sistema efficace di autenticazione che consenta di verificare in tempi ragionevoli le decine di milioni di utenti a pagamento di cui la compagnia avrebbe bisogno per sopravvivere.
Non dimentichiamo infatti che Musk ha licenziato il 50% del personale e ha molti impiegati in fuga, dopo che la nuova gestione ha imposto l’obbligo di presenza fisica sul luogo di lavoro. A Twitter, come in molte altre compagnie digitali, per contratto, gran parte del personale lavora da remoto (e spesso è residente a centinaia, se non migliaia, di chilometri dalle sedi). L’obbligo di presenza per molti, oltre che contro il contratto d’impiego, non è possibile logisticamente.
In breve, al momento Musk non ha né la struttura organizzativa né la quantità di personale sufficiente per autenticare decine di milioni di potenziali acquirenti del bollino.
Il caos
Ne emerge una compagnia smarrita in un caos dirigenziale e organizzativo, priva di strategie e senza una struttura in grado di implementare qualsiasi iniziativa. Stiamo assistendo a un’improvvisazione folle e autodistruttiva.
C’è da chiedersi come sia possibile, pur nella scelleratezza di un miliardario accecato dal proprio senso di onnipotenza, fare un investimento da 44 miliardi di dollari in una compagnia per poi minarla alla base facendone saltare in aria tutti i pilastri portanti.
Credevamo di averle viste tutte con Liz Truss, ma Musk appare sulla buona strada per una catastrofe ancora più rapida. Infatti, a meno di due settimane dall’acquisto di Twitter, già ipotizza l’imminente bancarotta.
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