Il copione della destabilizzazione: la minaccia russa in Georgia a un passo dall’ultimo atto

Esistono rischi concreti che possa aprirsi un altro fronte di guerra in Georgia? Molti elementi lo suggeriscono ma ancora in Occidente si dorme. Anzi, peggio: si evita di parlarne, si fa finta di niente. Eppure è lì sotto gli occhi di tutti ma si guarda dall’altra parte, procrastinando quel momento in cui si dovranno fare i conti con l’inevitabile. Viene da pensare che in tanti anni nessuno ha imparato niente. E sì che i russi sono prevedibili. Usano lo stesso sistema da vent’anni e noi sempre a cascare dal pero.

Chiariamo un punto: la Russia non può permettersi di perdere la Georgia ed il controllo del Caucaso meridionale. Ora mettiamo sul piatto un secondo punto: a meno di un colpo di mano, la Russia alle elezioni di ottobre perderà il controllo politico della Georgia. 

Già questo scenario dovrebbe dirla tutta sulla gravità della situazione.

Se in tanti anni abbiamo imparato due o tre cose di Putin sappiamo che per mantenere un paese all’interno della sua influenza cerca innanzitutto di controllarne il governo attraverso uomini fedeli e la propaganda, e se non ci riesce crea nemici invisibili ed un casus belli per un intervento armato. Il copione è collaudato. Lo abbiamo già visto in Georgia nel 2008, in Ucraina nel 2014, in Bielorussia nel 2020, e ancora in Ucraina nel 2022.

Con il passaggio ad un sistema proporzionale, la riforma elettorale georgiana è una brutta bestia per Putin. Ammesso anche che Sogno georgiano avesse abbastanza consensi da poter formare un nuovo governo (e, stando ai sondaggi, non li ha), non avrebbe una maggioranza assoluta e sarebbe pertanto costretto a formare una coalizione. Per Mosca dunque, nella migliore delle ipotesi, Sogno georgiano resterebbe al governo ma senza i numeri per ostacolare il processo di adesione della Georgia alla UE; nella peggiore, sarebbe completamente fuori dai giochi.

Siamo dunque in quella fase dove il controllo politico del paese sta per venire a mancare, in uno scenario a cavallo tra l’Euromaidan ucraino, nato dopo la retromarcia sulla UE di Yanukovich, e le rivolte contro Lukashenko in Bielorussia nel 2020.

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