Voci musulmane contro il radicalismo islamico e il silenziamento progressista

Era il 2 novembre del 2004  quando regista olandese, Theo van Gogh, fu assassinato da Mohammed Bouyeri, un islamista olandese-marocchino. Per ucciderlo, Bouyeri gli sparò più volte, lo pugnalò, gli tagliò la gola e infine tentò di decapitarlo. Ai suoi occhi, Theo van Gogh aveva commesso un “peccato mortale”: con il suo film “Sottomissione” (un atto di denuncia del trattamento delle donne nell’Islam) aveva sfidato la sharia. Inoltre, lo aveva fatto collaborando con una donna. Sul corpo di  Theo van Gogh, Bouyeri aveva infatti lasciato un biglietto in cui minacciava di morte Ayaan Hirsi Ali, la promotrice del film.

La sentenza di morte, emessa da parte del fanatico, colpiva l’uomo prima che la donna per una questione di gerarchia ma anche perché mirava a lanciare un messaggio preciso contro quella fetta di musulmani moderati e secolari che contrastavano la visione più violenta e intransigente dell’Islam colpendo direttamente le persone a loro più vicine e i loro alleati nella battaglia. In questo contesto, l’assassinio di Theo van Gogh è emblematico del processo di silenziamento sistematico delle voci musulmane che credono che l’Islam possa convivere con la secolarità dello stato. In questo caso il vero target era proprio Ayaan Hirsi Ali  che rappresenta una di queste voci. 

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