Patriarcato e strumentalizzazioni

Vorrei cercare di rispondere con un post più ampio ad un quesito posto di recente in merito all’assenza di oltraggio nei confronti di 50 sfumature al contrario del tumulto scatenatosi in conseguenza del palpeggiamento in diretta TV. 

50 sfumature sono romanzi figli di una cultura in cui la misoginia assume fascino agli occhi delle donne stesse. Più che restare inorriditi dai milioni di copie vendute si dovrebbe riflettere sulle cause e non accusare le donne di accondiscendenza quando leggono romanzi misogini o ipocrisia quando si sdegnano per i palpeggiamenti in diretta TV.

Perché?


Il patriarcato è una questione complessa perché è intriso di contraddizioni e di messaggi espliciti ed impliciti. Faccio un esempio personale ma che so accomunare moltissime donne della mia generazione (classe 1967).

Mio padre si definiva “femminista”. Credeva fortemente nell’educazione e nell’emancipazione femminile, e non mi riteneva inferiore agli uomini. Questo era il messaggio esplicito. Mio padre era anche quello però che ogni volta che appariva una donna intelligente ed emancipata in TV le affibbiava un’etichetta: Nilde Jotti? “L’amante di Togliatti”; Elsa Morante? “Se non avesse sposato Moravia…” Lilli Gruber? “Chissà per quanti letti è passata”. Mia madre, come mio padre, proclamava l’emancipazione ma poi magari la si sentiva dirti: “te la vedrai poi con tuo marito, il capo famiglia”.

I miei genitori erano figli del patriarcato e la loro forma mentis prescindeva ogni migliore intenzione. Da un lato anelavano al cambiamento e lanciavano un messaggio esplicito (studia, fai carriera, sii indipendente), dall’altro esprimevano cognizioni così radicate da non rendersi conto delle contraddizioni, infatti il messaggio implicito era fortemente misogino (le donne indipendenti sono puttane e l’uomo è il capo famiglia).

Allora, le donne della mia generazione sono cresciute tra messaggi espliciti e impliciti; siamo cresciute con la convinzione di essere uguali e di avere pari opportunità ma anche quella che qualsiasi traguardo intellettivo sarebbe stato ripagato con un giudizio di denigrazione morale e a sfondo sessuale; di non essere inferiori agli uomini ma di avere bisogno di loro e che il successo di una donna dipende dal supporto degli uomini. E questi sono solo alcuni e limitati esempi.

Se sulla ragione siamo in grado di esercitare un controllo, il subconscio (dove va a finire l’implicito) è più difficile da sfrondare perché è sempre lì in agguato e spesso si manifesta attraverso bisogni inconsapevoli. Nel caso di molte donne c’è quello da un lato di cercare una parità effettiva, frutto del messaggio esplicito,  e dall’altro l’attrazione verso uomini fortemente misogini che commettono abusi, figlia  spesso dei messaggi impliciti del patriarcato.

Perché non si demonizza 50 sfumature?

Perché non si accusa uno specchio della brutta faccia della società.

È l’opera di un furbacchione che ha sfruttato la contraddizione intrinseca dell’universo femminile a fini di lucro (e di questo è certamente colpevole).  Ma non mente, non crea realtà inesistenti. Al contrario le rappresenta. Esplicitamente misogini, i romanzi ci fanno riflettere su qualcosa d’importante: l’attrazione delle donne per il modello misogino; quello delle ambivalenze carota e bastone, sensualità e violenza mascherati da storia d’amore (tipici del “controllo”). Perché quell’attrazione è lì? Riflettiamo. Le donne non nascono attratte da chi le sottomette. Non è genetico, è culturale. È necessario soffermarci su questo punto: nessun essere umano nasce con una predisposizione naturale ad essere abusato e sottomesso. La psicologia insegna che tale disposizione è frutto di abusi fisici o psicologici subiti nell’infanzia. Allora, domandiamoci: quale assurda cultura ha fatto sì che milioni di donne si innamorino di un personaggio che è l’archetipo di tutto ciò contro cui combattono? Perché vogliono essere controllate e abusate. Cosa le ha rese in quel modo?

Quella cultura che le ha formate fin dal primo vagito: il patriarcato.

Allora dei romanzi esecrabili divengono lo spunto per risalire agli elementi dell’educazione femminile nel complesso di tutti quei messaggi espliciti o impliciti con cui sono cresciute. Il palpeggiamento è uno (tra molteplici) di questi, perché se il messaggio esplicito è che le donne vanno rispettate, quello implicito è che il palpeggiamento non è che una “ragazzata”. Raramente lo si denuncia, lo si sopporta. Ci siamo passate tutte, che vuoi che sia? Eppure è sempre lì, fin da quando siamo bambine. Ma la consuetudine e l’accettazione passiva non significano che il palpeggiamento sia lecito: è e resta una violazione. Al contrario, l’accettazione passiva non è che quel substrato di implicito di cui ogni donna deve imparare a liberarsi prima di rendersi conto che quella violazione è tale e che come tale va denunciata.

Il patriarcato è sibillino, si nasconde, si giustifica, si minimizza, si traveste, ma è facile da identificare: in un modo o nell’altro trova sempre il modo di colpevolizzare le donne. Allora ecco, che se il definire il palpeggiamento una “ragazzata” non regge, si attaccano le donne per averne fatto un caso, e se anche quello non regge, le si accusano di averne fatto un caso mentre non hanno fatto un caso di 50 sfumature.

Tutto è sempre allo scopo di far distogliere l’attenzione da ciò che il patriarcato vuole preservare, ovvero il diritto degli uomini di avere l’ultima parola su quello che è lecito o no, quello che è giusto o sbagliato nel comportamento delle donne, per le quali indignarsi o non indignarsi è in un modo o nell’altro strumentalizzato contro di loro.

In realtà in quella situazione esisteva un solo colpevole: il palpeggiatore.

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