Tutto quello che non ci dicono

Proseguiamo il viaggio di osservazione sull’uso mediatico del linguaggio populista. Lo facciamo prendendo spunto dal manifesto del Prof. Alessandro Orsini, creato per pubblicizzare l’evento al teatro alla Sala Umberto di Roma.

Lascio da parte la sua visione del conflitto in Ucraina. Che la si condivida o meno è irrilevante ai fini della mia analisi, la quale è strettamente legata all’uso del linguaggio.

Lo slogan è “Tutto quello che non ci dicono”.  Analizziamolo.

“Tutto”, imprime immediatamente un’idea di assoluto. È onnicomprensivo e non ammette eccezioni.  Esiste un “tutto” sull’Ucraina, ovvero la somma comprensiva di ogni evento.

A quell’idea, viene subito associato il “quello che non ci dicono”, che nella contestualizzazione assume una valenza di “quello che ci viene deliberatamente taciuto”.

Lo slogan che all’apparenza intende presentarsi come un invito all’approfondimento, contiene in sé un messaggio emotivo di più ampia portata: 

“Se quello che non ci dicono è assoluto, significa che è vero, e poiché non ci viene detto esiste una verità che non conosceremo mai, a meno che qualcuno ce la riveli”.

In un articolo precedente avevo mostrato come la correlazione tra populismo e pensiero totalitario s’instaura nel momento in cui dal “non si può più parlare” si transita al “sono l’unico a cui potete credere”. Perché avvenga, occorre un elemento coesivo che avvicini il detentore della verità assoluta alle persone e lo ponga sullo stesso piano, rendendolo vittima e compartecipe, creatore del problema e unica soluzione. Come avviene?

Notiamo che lo slogan va oltre il:  “Tutto quello che non dicono”, opera un’operazione linguistica più sottile. Dice: “Tutto quello che non ci dicono”. Il “ci” comprende noi e lui. È un modo per dire “sono uno di voi, sto dalla vostra parte, sono vostro amico e sono qui per aiutarvi.”

In realtà, Orsini, al di là di un avvicinamento semantico, non intende affatto porsi su di un livello paritario. È un intellettuale con competenze sull’argomento, e questo rende implicita una gerarchia culturale che di per sé non è necessariamente manipolatoria. 

La manipolazione avviene però quando invece di porsi come un intellettuale tra altri, si pone come “voce fuori dal coro”, detentrice di una verità assoluta che è intenzionata a rivelare. Questo perché se Orsini è l’unica voce fuori dal coro e tutti gli altri fanno parte del coro, gli altri, di conseguenza, mentono, tacciono, occultano. In sostanza, Orsini in una sola frase crea uno scenario in cui il pubblico è smarrito in una realtà nemica dove lui è l’unico alleato.

All’affermazione egocentrica si somma la demonizzazione di ogni altra voce, che viene screditata in quanto non all’unisono con la sua. Ecco operato il passaggio tra l’affermazione “esiste un pensiero unico” (smentita dall’esistenza stessa della sua voce fuori dal coro) all’imposizione del pensiero unico, ovvero di quello della voce fuori dal coro che è l’unica che rivela cose che altri tacciono.

Affinché il messaggio transiti dalla sua accezione esplicita “vi aiuto ad approfondire” a quella implicita “ascoltate e credete solo a me” occorre aver seminato in precedenza l’idea che chi parla è superiore, così che non si possa dubitare che quella voce è a l’unica a conoscenza di fatti che altri vogliono tacere.

Vediamo come si seminano queste idee con un esempio. In un suo intervento a #cartabianca, Orsini, dice: 

“La mente umana non è in grado di farsi carico di tutte queste informazioni. Per me è normale farlo, la mia mente è allenata a questo tipo di operazione. L’uomo comune invece, compresi alcuni giornalisti e politici, non conoscono la politica internazionale”. 

Nella prima parte del suo discorso, Orsini presenta una realtà cognitiva di cui la mente non è in grado di farsi carico. Nessuno può sapere tutto. Ciascuno di noi ne è consapevole. Eccolo vicino a noi: siamo umani, abbiamo dei limiti. Subito però, a quell’impossibilità sovrappone un “per me è normale farlo, la mia mente è allenata a questo tipo di operazione.” In sostanza afferma che ciò che è impossibile per qualsiasi essere umano, è invece facile per lui, è “normale” e la sua mente è “allenata”.

Affermando la propria capacità di trovare normale fare ciò che per tutti gli altri è impossibile, Orsini presenta se stesso come un essere in grado di oltrepassare i limiti umani, in poche parole, ci dice che è un superuomo. Confusi, pensiamo a Nietzsche. Ci stiamo sbagliando? No, perché ce ne dà conferma nella frase successiva, quando introduce “l’uomo comune”.

Allora ricordo questa considerazione di Nietzsche:

Che cos’è la scimmia per l’uomo? Qualcosa che fa ridere, oppure che suscita un doloroso senso di vergogna. La stessa cosa sarà dunque l’uomo per il superuomo: un motivo di riso o di dolorosa vergogna”.

Poi mi chiedo: cosa sta comunicando Orsini secondo la logica di quel pensiero?

Possiamo provare ad interpretarlo. Ci sta dicendo che:

Noi (e alcuni giornalisti e politici) stiamo alla scimmia come lui, in quanto superuomo sta all’uomo comune, e che per lui siamo motivo di riso o di dolorosa vergogna.

In conclusione, si arriva al punto in cui chi lo segue accetta volontariamente una posizione di subalternità e di essere motivo di riso e dolorosa vergogna. È però un fardello di cui è possibile liberarsi attraverso un processo di associazione, ovvero, abbracciando le idee di Orsini, abbiamo la possibilità di distinguerci e diventare anche noi “voci fuori dal coro” e (per associazione) avvicinarci al superuomo e  raggiungere una posizione di superiorità.

In passato, ho visto Orsini schierarsi apertamente contro il populismo e contro il degrado della cultura, cose sulle quali non si può che concordare. Ciò che inquieta nel linguaggio da lui utilizzato è l’aperta dichiarazione di una società costituita da “superiori” e “inferiori”, non da un punto di vista neutro, asettico e puramente storiografico (come fa Harari), ma da un punto di vista di un appartenente alla casta superiore che asserisce il proprio diritto alla superiorità.

Non è dato sapere se Orsini si esprima in un certo modo a fini manipolatori oppure se questa sia una sua onesta visione dell’umanità. In entrambi i casi, almeno per me, è stato un campanello di allarme.

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