American Psycho e Delitto e castigo

Anche 𝗔𝗺𝗲𝗿𝗶𝗰𝗮𝗻 𝗣𝘀𝘆𝗰h𝗼 di Bret Easton Ellis è una rivisitazione di 𝗗𝗲𝗹𝗶𝘁𝘁𝗼 𝗲 𝗰𝗮𝘀𝘁𝗶𝗴𝗼. Là dove in Dostoevskij il delitto nasce da motivazioni derivate da una morale distorta e in Camus dall’indifferenza, in Ellis diventa non solo gratuito ma dettato da un piacere individualista. E non c’è espiazione.

Leggerlo per me fu una tortura. Pagine e pagine sui tipi di cravatte, disquisizioni irritanti sul branding. Mi chiedevo… perché? Poi ho compreso che proprio quelle pagine apparentemente futili sui capi di abbigliamento erano la chiave. Se si riesce a mettere da parte il “piacere della lettura” e a concentrarsi su quello che l’autore sta comunicando, il senso colpisce come un pugno allo stomaco. È uno spaccato della nostra società inquietante.

Ellis eviscera la superficialità del protagonista Bateman e del suo mondo. Vuole irritare il lettore proprio per mettere in risalto il vuoto dell’America degli anni’80. È una critica spietata. Una che pone il quesito: che significato ha un delitto se la vita umana non ha più valore? Se l’individuo dà più considerazione a un proprio capo di abbigliamento, al proprio status e al soddisfacimento di se stesso che alla vita di un altro essere umano? Se non esiste più alcuna empatia? Non ne ha nessuno: è futile, gratuito, crudele, fino a divenire ludico. Si entra in uno stato di castrazione emotiva dove solo l’estremo e l’inimmaginabile possono creare un temporaneo stato di appagamento.

Se Dostoevskij esaminava il nichilismo, portandolo alle sue più estreme conseguenze, Ellis compie un’operazione analoga con l’individualismo ed il materialismo. È in questo vuoto sociale, culturale e umano che si può giungere ad un orrore che non conosce condanne, pentimento o espiazione.

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