A gennaio di quest’anno esce su Libero un pezzo di Vittorio Feltri:
Se una donna vuole guadagnare di più, lavori anche di più
Mi è parso interessante per molti motivi. Innanzitutto è onesto: Feltri esprime cio che pensa, e ci charisce dove si colloca la donna oggi nella società: piuttosto in basso ma dove è giusto che stia; sottopagata a lavoro oppure a fare le faccende di casa. Prendiamone atto.
Abbandoniamo anche l’illusione che si tratti del vaneggiamento di un fanatico, al contrario ciò che scrive è rappresentativo di un pensiero più diffuso di quanto si voglia credere e di quanti abbiano il coraggio di ammetterlo. Ma in una cultura impera non quello che si grida ma quello che si pensa, un pensiero che fa da sfondo ad ogni comportamento sociale e decisione politica. Proprio quel pensiero (che quest’articolo finalmente esterna senza timori) è sintomatico del perché, allo stato attuale, sebbene le leggi le tutelino, le donne non godono degli stessi diritti degli uomini. Nella sua onestà, Feltri ci spiega perché: sono nate con l’utero.
Che si può fare onde rimediare a questo gap? Nulla. Bisognerebbe dotare gli uomini di utero e le donne di pene, cosa assai difficoltosa per non dire impossibile. Per ciò è assurdo asserire che le signore guadagnano meno, semmai lavorano meno ed è normale che abbiano una busta paga più magra.
Dunque, poiché la donna è dotata di un utero, deve accettare la subordinazione economica come un fatto naturale. Ce lo spiega in termini molto pratici:
Muovendosi tra leggi naturali ed economiche, Feltri si appella alle prime per spiegare le seconde: nel libero mercato tutto dipende produttività e poiché per motivi biologici la donna è meno produttiva (assentandosi dal lavoro per fare figli) deve accettare il proprio svantaggio economico e dunque la propria dipendenza dal marito, che è giusto che guadagni di più.
Interessante che nello spiegarlo, Feltri ci presenta un uomo invisibile e totalmente deresponsabilizzato:
Purtroppo però succede che le ragazze, a un certo punto della vita, si sposino e mettano al mondo dei figli, pertanto rimangano a casa in maternità. D’altronde le mamme sono loro e non possono delegare i mariti o i compagni a partorire.
Sposarsi e mettere al mondo dei figli dunque è una questione solo per donne, mentre gli uomini (ai quali in fondo spetta solo il compito di inseminare), possono andare avanti con le loro vite, salvo mantenere le mogli che (giustamente) guadagneranno meno di loro.
Attenzione, questo è un nodo fondamentale, perché l’intero articolo è mirato a giustificare la disparità economica. Sappiamo che dipendenza e libertà si coniugano male: non si può avere la seconda se manca uno stipendio. Inoltre, in una società dal libero mercato, non avere un reddito o averlo basso significa non esistere. Dunque il sottinteso di questo discorso è che per diritto naturale l’uomo è avvantaggiato e dunque è libero (di agire come vuole e guadagnare quanto vuole), la donna invece non è libera, è sottomessa ad una natura totalitaria e dunque se sceglie di essere madre dovrà accettare la propria dipendenza e subalternità.
Cosa si può fare per rimediare? Nulla:
La natura non è democratica, lo vogliamo capire oppure no?
Accettiamolo. Siamo nate donne e non c’è nulla da fare. Siamo costrette a procreare senza che vi sia rimedio: è lei, la natura, responsabile della disparità. Poi Feltri ci ripensa e valuta che in fondo una possibilità ce l’abbiamo. Ennesimo paladino di quel A condizione che… di cui ho in precedenza scritto, offre alla donna un’alternativa condizionata:
Le donne che pretendono di avere lo stesso stipendio degli uomini hanno una sola via di uscita: evitino di sposarsi e di diventare madri ad ogni costo, rifiutando i “suggerimenti” del cosiddetto orologio biologico che le convince a riprodursi.
Analiziamo la semantica. Feltri usa il termine “pretendono”. È importante: la parità di stipendio non è un diritto ma una “pretesa”. Se Feltri avesse usato il termine “aspirano” si sarebbe posto su un livello paritario, ovvero come un essere umano che considera la problematica di altri esseri umani da un punto di vista obiettivo. Non lo fa: poiché si arroga un diritto naturale (ricordiamocelo, è dotato di pene), si pone su un piedistallo e guarda in basso a chi (dotato di utero) quisquilia in lamentele assurde che non valgono la pena di essere prese in considerazione. Infatti “pretende” chi non ha diritto e per Feltri le donne non ne hanno: cercano di assumere un ruolo che la natura ha voluto per gli uomini. Pone inoltre “suggerimenti” tra virgolette, una mossa che gli consente di svilire una scelta che invece sappiamo competere sia uomini che donne e che è per motivi naturali necessaria.
Sminuire e giocare sull’ignoranza è una tattica per mettere a tacere l’interlocutore: lo si disarma rendendolo piccolo e poi si spara un’assurdità contro la quale è possibile solo ribattere con l’ovvio. Non gli interessa essere tacciato da ignorante per avere tirato fuori una boiata colossale. Il suo obiettivo è un altro e non cadiamo nel tranello. Sa perfettamente che la procreazione è necessaria alla sopravvivenza della specie. Non sta affatto suggerendo alle donne italiane di smetterla di fare figli così da vedere il suo amato popolo scomparire per essere rimpiazzato esclusivamente da figli di emigranti, le sta prendendo in giro e allo stesso tempo sta delegando la responsabilità. Chiamando “pretesa” la reclamazione di un diritto e trasformando la necessità della specie umana di riprodursi in un “vezzo” femminile, opera un’ulteriore deresponsabilizzazione degli uomini e colpevolizzazione delle donne. All’apparenza sembra ribaltare il vecchio concetto patriarcale che voleva le donne a casa ad accudire i figli invece di lavorare: ci dice che dovremmo smettere di fare i figli e lavorare di più. Ma non lasciamoci ingannare. In realtà usa un’iperbole per esprimere lo stesso concetto non prendendo minimamente in considerazione l’idea di una rivolta di massa ed uno sciopero procreativo da parte delle donne italiane. Quello che gli preme è il mantenimento dello Status Quo.
D’altra parte per una fetta di società le donne sono sempre colpevoli: peccano di egoismo se rifiutano di fare figli e se invece ne fanno diventano inutili e improduttive. A questo punto Feltri è pronto per il colpo finale trasformando la donna in una caricatura grottesca:
…non è scritto da nessuna parte che chi non abbia una occupazione vera debba essere assistito, allo stesso modo non si capisce per quale motivo una matrona che sforna bambini abbia diritto a riscuotere denaro pubblico. Cioè nostro.
Le donne non sono madri ma “matrone” che “sfornano bambini”, dispregiativi che rivelano il suo pensiero in un’immagine degradata e svilita; una che offre da contrappunto a quella dell’uomo contribuente; “cioè nostro” dice riferendosi al denaro pubblico, quello che pagano gli uomini che lavorano e che producono, al contrario di questi ‘esseri’ sforna-figli, utili per lo svago ma economicamente improduttivi. Una volta deumanizzata la donna, gli è consentita la definitiva scissione tra un noi e un loro, il pene e l’utero, là dove il primo ha valore e dignità, mentre il secondo può essere calpestato verbalmente, socialmente, culturalmente ed economicamente.
Non c’è da stupirsi dunque se ad essere omessa dal suo discorso c’è la civiltà: quella che non conosce o che vuole ignorare; quella che ha condotto all’illuminismo, al miglioramento delle condizioni di vita, all’evoluzione sociale e perfino alla stesura della carta dei diritti umani che non discrimina tra razza e genere. Quella che sa che la natura non è né democratica né totalitaria, lo sono gli uomini; che non è responsabile della disparità economica, lo è chi la pensa come Feltri, chi si aggrappa alla biologia per mantenere il controllo e rifiuta qualsiasi valutazione sensata.
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