“Il punto fondamentale per una soluzione politica deve essere l’integrità territoriale della Georgia”
Furono le parole di Angela Merkel dopo un incontro con Medvedev a Sochi il 15 agosto 2008.
Alcuni giorni prima, Il 12 Agosto, il presidente georgiano, Saakashvili e l’allora presidente della Federazione Russa, Medvedev, avevano firmato il trattato di pace proposto dal presidente francese Sarkozy.
Ciò avveniva a 12 giorni dall’invasione russa della Georgia, nel corso della quale la Russia aveva occupato il 20% del territorio georgiano, una porzione del Paese che – in contravvenzione al trattato di pace – la Russia non avrebbe mai restituito, piuttosto, avrebbe continuato a estenderla servendosi delle “zone di esclusione” per spostare progressivamente il confine (annessione progressiva).
Per comprendere perché si è deciso oggi di sostenere militarmente l’Ucraina, dobbiamo fare un passo indietro a quel 2008, quando per mantenere buoni rapporti con la Russia e non rischiare l’escalation di un conflitto, la comunità internazionale scelse l’appeasement.
Cosa ha condotto all’annessione progressiva?
Il tentativo della Federazione Russa di annettere i territori dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud e utilizzarli come piattaforma per riprendere il controllo della Georgia erano coincisi con l’ascesa di Putin.
Già dal 2003, Putin aveva considerato l’idea di un’invasione militare e successivamente il governo georgiano aveva fatto pressioni su Mosca per la rimozione delle truppe presenti sul territorio georgiano.
In quegli anni, si era assistito alla “passaportizzazione” della popolazione nelle due regioni da parte della Russia. Un’operazione che nel 2008 poteva dirsi in larga parte completa, con il 70% della popolazione che aveva acquisito la cittadinanza.
Si trattava di una libera scelta? Non proprio. Rifiutare la cittadinanza poteva avere come conseguenze perdita del lavoro, arresti, persecuzioni, espulsioni. Per tanto chi non fuggiva, per sopravvivere era costretto ad accettare il passaporto russo.
In quel periodo, mentre la sottomissione della Cecenia era ormai quasi un fatto compiuto, in Georgia il timore di un’invasione russa cresceva.
Perché?
Basta osservare la mappa. A nord la Georgia confina direttamente con la Cecenia che era, fino alla seconda guerra cecena, l’unico paese indipendente dalla Federazione Russa con cui confinava a nord. Nella politica di annessione dei territori ex sovietici perpetrata da Putin, la Georgia rappresentava il prosieguo naturale, inoltre avrebbe consentito alla Russia di riprendere possesso delle coste a est del Mar Nero.

Per i georgiani, la ricerca di una protezione internazionale divenne un problema impellente. Infatti, l’orientamento verso la NATO della Georgia era largamente sostenuto dal pubblico. Il 5 gennaio 2008 in un referendum popolare sull’adesione alla NATO, il 77% dei votanti si espresse a favore dell’adesione.
Successivamente, l’allora presidente Saakashvili fece richiesta formale per la Georgia (allo stesso tempo dell’Ucraina). Nel corso del Summit NATO a Bucarest, tenutosi all’inizio di aprile 2008, la richiesta fu accolta, dando avvio all’Open-door policy. Francia e Germania però si opposero subito all’allargamento a est per evitare attriti con Mosca.
Nel porre un freno all’allargamento della Nato, Sarkozy e Merkel avevano scelto una politica conciliatoria con Putin, ma non funzionò. Anzi, ottenne l’effetto contrario. A Putin restò la giustificazione di un possibile allargamento della Nato (anche se “congelato” da Francia e Germania), mentre la Georgia rimase vulnerabile. Il 1 agosto 2008 le truppe russe invasero la Georgia.
Un’altra giustificazione all’intervento era stata la dichiarazione d’indipendenza unilaterale del Kosovo, avvenuta il 17 febbraio dello stesso anno. Se era stato consentito al Kosovo – sosteneva Putin – avrebbe dovuto essere consentito anche ad Abkhazia e Ossezia del Sud di dichiararsi indipendenti unilateralmente. L’esercito russo era lì per “difendere il loro diritto all’autodeterminazione”.
In realtà, qualunque fossero le motivazioni sostenute dal Cremlino, bisogna tenere presente che già dal giugno 2008, Gazprom aveva cominciato a pianificare l’esplorazione di petrolio e gas in Abkhazia. Inoltre, l’Abkhazia rappresenta la metà dell’accesso della Georgia al Mar Nero.
Il trattato di pace
Al contrario che per l’Ucraina, nell’agosto 2008 per la Georgia non vi fu alcuna mobilitazione e supporto militare da parte dell’occidente. Si scelsero le vie diplomatiche e la pace.
Il 12 Agosto, Saakashvili e Medvedev ratificarono il trattato di pace tra Georgia e Russia proposto da Sarkozy.

Il trattato consisteva in sei punti.
- Nessun ricorso all’uso della forza
- Cessazione definitiva delle ostilità
- Libero accesso agli aiuti umanitari (e per consentire il ritorno dei rifugiati)
- Le forze militari georgiane devono ritirarsi nelle loro normali basi di accampamento
- Le forze militari russe devono ritirarsi sulle linee prima dell’inizio delle ostilità. In attesa di un meccanismo internazionale, le forze russe di mantenimento della pace implementeranno ulteriori misure di sicurezza (sei mesi)
- Apertura di discussioni internazionali sulle modalità di sicurezza duratura in Abkhazia e Ossezia del Sud (basate sulle decisioni delle Nazioni Unite e dell’OSCE)
Dei sei punti del trattato solo i primi 4 furono rispettati.
Il punto 5 fu ignorato dalla Federazione Russa che mantenne il proprio “contingente di pace” anche dopo lo scadere dei sei mesi. Medvedev infatti, insistette sul fatto che la Russia era “il garante della sicurezza nel Caucaso e nella regione” e che le truppe russe sarebbero rimaste in Georgia.
Quanto al punto 6, Il mandato della missione OSCE scadde il 1 gennaio 2009 e successivamente la Russia rifiutò la sua continuazione e negò l’accesso dell’ European Union Monitoring Mission (EUMM) nei territori di Abkhazia e Ossezia del Sud che dunque rimasero sotto permanente occupazione militare russa.
Le conseguenze dell’appeasement
In sostanza, l’appeasement della Merkel e di Sarkozy aveva sì evitato l’escalation del conflitto, ma anche costretto la Georgia alla perdita del 20% del proprio territorio. La Russia aveva occupato militarmente un quinto del territorio georgiano senza alcuna conseguenza.
Questo può già aiutarci a comprendere perché l’appeasement non aveva funzionato. Non solo aveva castrato la Georgia territorialmente, ma anche mostrato alla Russia la debolezza dell’occidente democratico, incapace di muoversi unilateralmente contro invasioni militari.
Se ci è chiaro cosa è avvenuto nel 2008, è più facile capire le ripercussioni dell’appeasement di allora. Il conto della pace in Georgia sarebbe stato presentato il 24 febbraio del 2022, quando Putin, sperando di poter ripetere l’operazione georgiana, invase l’Ucraina (probabilmente auspicando in una risoluzione diplomatica analoga entro pochi giorni).
Porre fine a un conflitto è sempre auspicabile?
È una domanda difficile perché la “pace” nella realtà è relativa alle circostanze.
In primo luogo, non sempre la pace salva vite umane: talvolta, la guerra è resa necessaria per porre fine a genocidi, per esempio; altre volte, un trattato di pace che salva poche migliaia di vite umane oggi può costarne milioni domani (il trattato di Monaco ne è un buon esempio: condusse alla seconda guerra mondiale con i suoi 60 milioni di morti).
Bisogna tenere presente anche che non tutti i trattati di pace ripristinano equilibrio e legalità, e che non tutti i trattati di pace vengono rispettati. Così anche se un trattato di pace soddisfa sempre l’opinione pubblica, può risolversi in un pezzo di carta senza valore e non risolvere alcun problema. Il conflitto, la violazione dei diritti umani, le deportazioni e le uccisioni continuano indisturbate, lontano dai fari internazionali.
Questo è stato il caso della Georgia.
L’annessione progressiva
Dalla guerra del 2008 e la successiva occupazione militare russa di Abkhazia e Ossezia del Sud, il governo russo considera i territori come stati indipendenti: la Repubblica di Abkhazia e la Repubblica dell’Ossezia del Sud.
Da allora le truppe russe hanno dato avvio a un processo di demarcazione del confine tra la Georgia e l’auto-dichiarata Repubblica dell’Ossezia del Sud. Tale demarcazione è nota anche come “annessione progressiva”, in quanto spinge sistematicamente la linea di confine sempre più all’interno del territorio georgiano, incorporando interi villaggi, passando spesso anche attraverso le case.
In breve, pur non essendoci un conflitto in corso, la Russia continua ad avanzare e ad appropriarsi del territorio georgiano.
Di questa situazione ero venuta a conoscenza attraverso un thread della giornalista, attivista russa, Maria Kuznestova, che da tempo si occupa dei metodi di espansionismo territoriale della Federazione Russa in Georgia. Il thread s’intitolava “La zona della paura” e lo avevo tradotto e pubblicato integralmente qui.
Secondo il think tank del Centro di ricerca sulle politiche economiche, dal 2011 sono stati registrati 155 casi di avanzamento del confine. Amnesty International ha anche riferito, nel 2018, che almeno 34 villaggi erano stati divisi a causa dello spostamento progressivo della linea di confine.
Relazioni tra Georgia e Ucraina nelle zone di annessione progressiva
Il 13 settembre 2021, Nino Lomjaria, difensore pubblico della Georgia, e Lyudmila Denisova, commissario del Parlamento ucraino per i diritti umani, avevano visitato il villaggio di Khurvaleti lungo la linea di occupazione analizzando le similitudini e differenze rispetto alle occupazioni di Donetsk, Lugansk e Crimea.

Il difensore pubblico aveva informato la sua controparte ucraina della situazione della popolazione dei territori occupati.
“Sembra che la forza di occupazione agisca secondo lo stesso schema, ma la situazione in Georgia è aggravata dalla mancanza di comunicazione a livello umano e dipartimentale, che è ovviamente il risultato della pressione russa. Una delle questioni più dolorose è la continuazione dell’occupazione progressiva e sfortunatamente il nostro governo non ha modo di fermare questo processo. Non abbiamo nemmeno meccanismi di protezione dei diritti umani, in quanto non sono presenti organizzazioni internazionali nei territori occupati. Di conseguenza, la risposta internazionale è ritardata o spesso inefficace.”
Lyudmila Denisova aveva osservato:
“Come in Georgia, la nostra identità sta venendo distrutta (anche imbrattando chiese). Stanno cercando di distruggere ogni traccia dell’Ucraina nei territori occupati. Allo stesso tempo, siamo ancora in guerra, molte persone stanno morendo e dobbiamo fare del nostro meglio per raggiungere la comunità internazionale e porre pressioni sulla Russia.”
Solo cinque mesi prima dell’invasione dell’Ucraina dunque, il governo georgiano e quello ucraino collaboravano per cercare di attirare l’attenzione della comunità internazionale per risolvere un problema comune.
Dopo l’invasione dell’Ucraina
Successivamente all’invasione, i georgiani hanno espresso preoccupazioni per il loro futuro. “Non sappiamo quando la Russia deciderà di lanciare un’altra provocazione contro la Georgia,” afferma Natia Seskuria, esperta di sicurezza georgiana. “Penso che il nostro destino, in un certo senso, sia stia decidendo in Ucraina proprio ora. Da come andranno le cose in Ucraina, dipenderanno minacce alla nostra sicurezza più serie in futuro.”

Molti sono scesi in piazza a Tiblisi contro l’invasione dell’Ucraina. Tra questi anche russi come Yegor Kuroptev, direttore della Free Russia Foundation nel Caucaso meridionale, un’organizzazione che sostiene lo sviluppo democratico in Russia. “Dobbiamo decidere chi siamo: gente che vaga da un bar all’altro o combattenti contro il regime di Putin?” La responsabilità è di ciascuno di noi russi. Altrimenti, non saremo mai perdonati”.
Nonna Valya
Nel Giorno dell’Indipendenza della Georgia, il 26 maggio scorso, vari attivisti russi si sono recati sulla linea di occupazione, nel villaggio di Khurvaleti.
“È importante ricordare che qui stanno accadendo cose mostruose a nome del nostro Paese,” dichiara Boris Zolotorevskiy, ex team Navalny, un altro attivista russo presente in Georgia. “Dal 2008 a oggi 3.400 georgiani sono stati rapiti dall’FSB con lo scopo sia d’intimidire la popolazione che derubarla. Chiedono circa 800 lari ($ 275) per ogni ostaggio. Denaro che poi deve essere raccolto da tutto il villaggio. Perpetuano un’occupazione progressiva. Le guardie di frontiera russe spostano i pali e avanzano annettendo continuamente nuovi territori.”

A Khurvaleti fanno visita a nonna Valya che negli anni è diventata il simbolo della lotta contro l’occupazione. Ha più di 80 anni. Nel 2011, le guardie di frontiera russe spostarono il confine di notte. Al mattino, lei e suo marito, Davit Vanishvili, si ritrovarono nella regione di Tskhinvali nell’Ossezia del Sud (la zona occupata dalla Russia nel 2008) e non più in Georgia. Entrambi rifiutarono il passaporto della Federazione Russa. Di conseguenza, Davit fu malmenato più volte dalle guardie di frontiera e spesso arrestato per aver varcato il confine.
Un anno fa, il nipote, Malkhaz ha tentato di togliersi la vita dopo essere stato separato dalla moglie incinta (Tatia). Entrambi erano stati detenuti illegalmente dalle forze di occupazione, poi Tatia era stata espulsa dal territorio occupato.
Dalla morte di Davit alcuni mesi fa, Vanya è sola. Cibo e medicine le vengono passate attraverso il filo spinato. Dopo ciascuno di questi rifornimenti, gli ufficiali dell’FSB si avvicinano, le chiedono di allontanarsi dalla linea di confine e la rimproverano per aver parlato con qualcuno.

David Katsarava, il leader del movimento contro l’occupazione, alla luce della guerra in Ucraina, teme una completa occupazione della Georgia.

È un’ipotesi possibile?
Esistono precedenti per credere che il trattato di pace che cercherà Mosca in Ucraina (dopo aver conquistato una fetta di territorio) sarà simile a quello proposto da Sarkozy nel 2008 per la Georgia:
- Un trattato che dietro una parvenza bilaterale disarmi di fatto l’Ucraina e mantenga le truppe russe nei territori occupati come “truppe di protezione”
- Uno che conterrà all’interno un paio di punti che sembrano favorire l’Ucraina e sostengono la sua integrità territoriale
- Uno in cui quella integrità territoriale sarà ripristinata in “futuro” e a “determinate condizioni” (condizioni che la Russia farà in modo che non si verifichino mai)
- Una affidata alla supervisione di organizzazioni internazionali (alle quali la Russia negherà l’accesso dopo qualche mese dalla firma del trattato, quando tutti si saranno dimenticati della guerra e nessuno vorrà cominciarne un’altra)
- Uno che non proteggerà la popolazione ma la abbandonerà indifesa ai soprusi, ai rapimenti, alle estorsioni della gestione affidata all’FSB e alle mafie locali.
L’accettazione di un trattato simile da parte dell’Ucraina è quanto di più temono i Georgiani e gli stessi russi che si oppongono alle mire espansionistiche di Putin. Per loro, la resistenza ucraina è fondamentale: se l’Ucraina non cedesse, stabilirebbe un precedente e ostacolerebbe i processi di annessione progressiva della Russia. Una resa invece spalancherebbe le porte a una nuova invasione della Georgia: un altro 20% di territorio, un nuovo trattato di nessun valore, fino a che la Russia non avrà riconquistato l’intero accesso sul Mar Nero che aveva prima della dissoluzione del URRS.